Era il 10 maggio del 1987 quando un emozionato Giampiero Galeazzi, al fischio finale della partita Napoli-Fiorentina terminata 1 a 1, con gol di Carnevale su bella triangolazione del Napoli e di Baggio su punizione magistrale, avvicina l’arcigno allora allenatore del Napoli Ottavio Bianchi pronunciando queste indimenticabili parole, scolpite nel cuore di ogni tifoso: “17 e 47, 10 maggio, Napoli campione d’Italia Bianchi, Napoli campione d’Italia!”
Il servizio portava la firma del grande Italo Khune, erano i tempi delle cassette da ascoltare col mangianastri, dei wolkman, della musica dei nastri “falsi-originali” firmati Mixed by Erry. Era un altro Napoli e un’altra Napoli, non avevamo ancora gli smartphone, c’era il Commodore 64 e si affacciava alla ribalta il fenomeno delle prime televisioni commerciali di un giovane rampante Berlusconi, che facevano concorrenza alla Rai.
I campioni di ieri avevano nomi e volti diversi da quelli di oggi, lo stadio era colorato d’azzurro e proprio come oggi l’intera città era in festa, in attesa di quel fischio finale con cui il signor Pierluigi Pairetto avrebbe sancito il primo indimenticabile tricolore; perché se è vero che il primo amore non si scorda mai, noi tifosi che abbiamo vissuto quelle emozioni, non dimenticheremo mai quel giorno, una gioia mai provata da una tifoseria che ha dovuto aspettare più di mezzo secolo per poter vedere la conquista di un traguardo così prestigioso, fino ad allora mai raggiunto da nessuna delle compagini del sud.
Noi napoletani abbiamo dovuto aspettare il più grande di tutti, il nostro DS10, per poter vivere quelle emozioni. I campioni di ieri si chiamavano: Garella, Bruscolotti, Ferrara, Bagni, Ferrario, Renica, Carnevale, De Napoli, Giordano, Maradona, Romano. Con in panchina il bresciano di poche parole e dal carattere ruvido Ottavio Bianchi.
Ma se è vero come dice la scena finale di un famoso film che: “questa è un’altra storia”, è anche vero che le emozioni che stiamo provando sono le stesse di quelle di tanti anni fa, aspettando l’agognato fischio finale del signor Marcenaro da Genova.
Articolo a cura di Enrico Campanile